[ITA]
Sergio Trombetta su La stampa online, “Rite of Spring – extended, dall’età dell’innocenza all’età adulta”
“Quest’anno Marco D’Agostin ha presentato al Garage Nardini “Everything is ok”, un assolo in cui accumula ogni tipo di danza come un caleidoscopio impazzito, una miriade di brandelli gestuali che vanno dal contemporaneo, alla danza televisiva, all’aerobica. Ma tutto decontestualizzato e citato asetticamente. Così come nella prima parte si esibisce in una serie simile di citazioni verbali, da filastrocche inglesi a pezzi di annunci tv a discorsi in spagnolo. Canta anche un blues ed ha una bella voce. Tutto questo sino a quando crolla a terra esausto, così come è sfinito lo sguardo dello spettatore. Una bella prova di maturità, una riflessione su cosa significa fare danza oggi.”
Andrea Porcheddu su Gli stati generali, 14 settembre 2016, “SHORT THEATRE: una boccata d’aria fresca per Roma”
“Mi è piaciuto, ad esempio, il vibrante e divertente assolo di danza creato da Marco D’Agostin, Everything is ok. Camicia fiorata e pantaloni corti, inizia con un florilegio di testi, detti a raffica, che contiene di tutto. Come in un magma vorticoso si mescolano rap e Shakespeare, dialoghi cheap da reality e pompose dichiarazioni ufficiali, italiano inglese e spagnolo, canzonette e poesia, con esiti esilaranti. Poi è una vertigine di movimenti, una sequenza fluida e continua, anche con inserti a terra, a tratti nevrotica e a tratti umanissima, che D’Agostin domina al par suo, scivolando da gestualità quotidiane a straniamenti stridenti, che lentamente si spengono in una crepuscolare e struggente immobilità. C’è un piano drammaturgico, di ipotesi possibili, di smascheramenti ironici, di allusioni – nemmeno troppo velate – a un disagio crescente che si dipana nella avvolgente musica elettronica di LSKA.”
Stefano Serri su Concretamente Sassuolo, “L’eleganza è forza: Marco D’Agostin per Gender Bender 2015”
“Una lunga, inesausta sequenza (molte vite d’un fiato) che assomma tutto l’umanamente coreografabile nel campo dell’intrattenimento. Dalla pubblicità allo sport, dalla musica al sesso, fino alla danza stessa e al balletto, ogni cosa è campionata, replicata, con intento più mimetico che analitico, in costante riproduzione del fenomeno senza riduzione calligrafica né abbellimento acrobatico. Ecco cosa occupa il centro di “Everything is ok”, performance di e con Marco D’Agostin, realizzata con la consulenza drammaturgica di Kristin De Groot, in scena il 3 e 4 novembre al Teatro Testoni di Bologna all’interno del Festival “Gender Bender”.
Questo accumulo enciclopedico di movimenti viene poi distribuito in un collage fluido che non obbedisce a una progressione narrativa, ma si organizza come unica traccia, dove l’omogeneità del risultato tende all’indifferenziato. A incorniciare questo agire iperattivo (concepito dal performer con lo scopo di “stancare lo sguardo” dello spettatore) sono un preludio di parole similmente inarrestabili (scroscio di lingue e registri, una sorta di radio-mondo in cerca di sintonizzazione) e un lento esodo di vita e di luci con graduale abbandono del palco.
Motivo d’interesse di “Everything is ok” non è però nell’accumulo né nell’ennesima catalogazione dell’homo agens, pratica-processo onnipresente, feticcio di motivazione antropologica capace di an-estetizzare qualsiasi banale “gioca jouer” in salsa sperimentale. A dare identità a questa partitura è invece la qualità del gesto. Linearità, coesione e spessore della performance derivano dall’esecuzione di D’Agostin che senza il minimo cedimento, nonostante l’impervio sforzo fisico richiesto, conferisce al decorso di ogni gesto la medesima quantità (ripartita in dosi perfettamente coincidenti, un 50 e 50% costantemente distribuiti) di due elementi ideologicamente classificabili per genere: eleganza (♀) e forza (♂). Le differenze maschio/femmina legate a una lettura tradizionale dei gesti (dal vigoroso menar pugni al più sfacciato ancheggiare) viene in questo modo privata di fondamento, senza che l’individuo così risultante appaia banale, neutrale o appiattito. L’iper-ripetizione non prosciuga della connotazione sessista la rappresentazione del movimento nella società dello spettacolo, ma aggiunge eleganza alla forza e viceversa: non ne risulta così una “figura inter-media”, ma un soggetto costantemente doppio. La performance di D’Agostin ricorda che nel regno della danza l’eleganza dell’esserci è, più dell’intenzione ideologica, la forza gentile che attraversa lo sguardo dello spettatore e lo smuove dal suo posticino tranquillo.”
Alessandra Corsini su Altrevelocità, “Tra quotidiano e intimità. Everything is ok di D’Agostin e Paradise di Marilungo”, 2 Dicembre 2015
“Un jukebox impazzito, una radio delirante che non riesce a trovare la sua stazione. Marco D’Agostin, indossando una camicia con pappagalli colorati, si posiziona davanti al pubblico e canta filastrocche in inglese, hit commerciali, parla in spagnolo e cita annunci televisivi. Everything is ok è il nuovo lavoro del giovane coreografo, visto al DID Studio all’interno del Danae Festival a Milano. […] Tra un Meneito e Staying Alive il corpo del performer si lancia in danze diverse, trasformandosi. Sembra di stare in un programma televisivo, di fronte a una tv impazzita sottoposta a uno zapping velocissimo. Più che evocare immagini, il danzatore ricrea il ritmo confusionario del quotidiano, l’invasamento prodotto dalle feste, dalla pubblicità, dalla voglia di evadere dalla monotonia. D’Agostin non si risparmia: la danza contemporanea si contamina con l’aerobica, con i balli latino americani o da “febbre del sabato sera”. Il danzatore imita le reginette dei videoclip e a tratti le movenze effeminate ricordano Beyoncé o Madonna, per poi trasformarsi e assomigliare a Ricky Martin o John Travolta. Il suo è un corpo cangiante e polimorfo che costringe lo spettatore a fare delle scelte, a creare un proprio sguardo, stimolato da una pioggia frenetica, interminabile e inarrestabile di immagini decontestualizzate e apparentemente slegate tra loro. Il danzatore incarna citazioni che riportano alla luce le tipiche “spaccate” della danza di intrattenimento degli anni ’80 o fanno canticchiare nella testa le Cicale di Heather Parisi. Si aggiungono i suoi elettronici di LSKA, che danno la sensazione di stare in una bolla in cui siamo isolati dal chiasso mediatico, dal frastuono esterno, in un paesaggio sonoro che gradualmente prende forma. Inaspettatamente il danzatore si ferma e si accascia al pavimento, si alza lentamente e si piega quasi a voler toccare qualcosa, si risiede e porta le dita sulla testa guardandosi intorno forse frastornato, poi esce tra le note di un piano mentre luci blu e rosa si illuminano a intermittenza. Everything is ok è un boomerang di stimoli che a un certo punto si ferma, crolla e si riposa, così come fa ora il pubblico che sin dall’inizio si è lasciato sopraffare da un corpo fantasmagorico e dall’iconografia quotidiana. D’Agostin è in grado di estenuare la vista ma anche di ipnotizzare riuscendo, così, a farci sprofondare tra le reminiscenze e tra le corde della nostra immaginazione.”
Renata Savo su La Repubblica Roma online, “nuovi critici / short theatre 7 / everything is ok”, 13 settembre 2016
“I corpi sono luoghi d’esistenza e non c’è esistenza senza luogo, senza un là, senza un “qui” e un “ci” per il questo”. Le parole, nate dalla penna del filosofo francese Jean-Luc Nancy, potrebbero essere indossate dal corpus (Corpus è il titolo del saggio che le racchiude) del coreografo e danzatore Marco D’Agostin. Nell’a solo Everything is ok il suo, di corpo, giovane e anche bello, diventa un contenitore strabordante di senso, una fabbrica di segni che risucchia, macera il presente e lo espelle, sotto forma di danza. (…)Così si vede danzare D’Agostin, l’uomo – giovane – contemporaneo. Addosso ha una camicia colorata hawaiana e un paio di shorts. I suoi movimenti scorrevoli, in aria e sulla superficie bianca della scena, acrobatici o accademici, in equilibrio o in caduta, offbeat oppure a tempo con il sound – delicato e prezioso – di LSKA, si alternano a gesti presenti, significanti, riconoscibili. Punta l’indice verso se stesso, corpo e mondo insieme. È il tutto e il niente a danzare, perché di tutto e niente è fatta la realtà di cui la scena diviene metafora, lasciata vuota forse, alla fine, proprio per lasciare lo spettatore da solo con l’attesa di un nuovo soggetto da interpretare. Perché si può dire qualsiasi cosa senza senso, ma l’oggetto non cancellerà mai il desiderio dell’uomo di ricercarlo. Illusi di avere il mondo sotto controllo mentre siamo noi quelli controllati, lo facciamo dicendo a noi stessi – e quindi dicendo-“ci” – che everything is ok, anche se il vastissimo immaginario, intraducibile e afasico come il verbo del danzatore, ci assilla e rimbomba, contro i nostri sensi.”
[ENG]
“BE FESTIVAL 2017 – Blog Crossing Borders” on What’s on Birminghmam, July 6th 2017
“Bombarding us with a steady stream of popular culture references through a combination of spoken work, music and choreo- graphed routines, Marco D’Agostin attempts to capture the information and sensory overload of the digital age in his one- man show Everything is Okay. The show begins with a quickfire series of lines from TV, film, rap and pop music in an array of different languages, all perfectly recited in minute detail by D’Agostin. In the second section of the show, he goes on to mimic the familiar movements of performers and characters across all genres in an extended and surprisingly fluid dance sequence. In each case, the transition from one quotation to the next is seamless, each coming in such rapid succession that there’s scarcely time to register them before the next one comes along. At first it’s funny, but over time, it starts to feel a little wearing. Yet although it’s obviously too much to process, there’s something mesmerising about his performance and the skill with which each fragment has been put together, irresistibly drawing us in and keeping us hooked even as our attention wavers. Add this to the fact that few individual audience members could boast the cross-cultural knowledge to appreciate every reference, and the show as a whole becomes a striking metaphor for instant entertainment-induced inertia – in particular the action of scrolling endlessly through social media feeds, only taking in about half of what we see, yet still unable to switch off and look away. It’s not just the escapism and validation we look for online which suggests that, contrary to the show’s title, everything is not really okay. There’s also the (often deliberately) addictive nature of many sites, and the blurring of boundaries that can effectively deny us proper downtime. Nowadays, we’ve grown so used to living with the tech that even on the odd occasion we’re not staring at a screen, our brains are still flitting about just as restlessly, unable to settle or focus on a single idea for long. As D’Agostin solemnly exits the stage to ominous-sounding music, we’re left with nothing but a flickering rectangle of bluish light on the ground.”
[FRA]
Gérard Mayen sur Mouvement, “Rencontres fécondes”, May 27th 2016
“Au début d’Everything is OK, Marco d’Agostin surprend: sobrement campé droit face au public, il se lance dans une déclamation échevelée, à débit accéléré, où se collisionnent une grande variété d’idiomes, mais aussi de sujets – pour autant qu’on en comprenne – et d’intonations et styles vocaux qui pourraient tenir du slam, de la comptine enfantine, du clip publicitaire, du jeu radiophonique, du cérémonial protocolaire, du hip hop, de la conférence docte, de la récitation scolaire. Tout cela est à la fois plan, régulier, homogène d’un côté, mais fragmenté, débité, démembré de l’autre. Ainsi va un langage. Fin de cette séquence. Passage à la danse. Soit un autre niveau du langage, aux structures étrangement analogues: le performeur débite un nombre inouï de motifs gestuels, jamais deux identiques, dans une articulation affolante et parfaitement maîtrisée, profusion tenue, de syntagmes et accents gestuels, dont les coordinations sans transitions distillent une sorte d’ivresse sèche et fraîche. Ce tourbillon savant nous persuade encore un peu plus, s’il le fallait, de ce que la danse peut transporter très loin, avec les moyens les plus immédiatement à portée de geste. C’est magistral.”
Léa Poiré sur Mouvement, “Solo cosmopolies”, May 26th 2016
“Chemise colorée ornée d’oiseaux et fleurs tropicales, pantalon pastel, l’italien Marco D’Agostin sous ses airs de vacancier détendu nous embarque pourtant dans un voyage hyper actif. Everything is Ok comme une injonction chuchotée à lui-même pour s’armer de courage avant d’ouvrir sa pièce d’un pas décidé. S’arrêtant face public, Marco D’Agostin déclenche un flot continu de paroles multilingues flirtant avec le rap. S’enchaîne une danse puisant dans une source intarissable de références allant jusqu’à saturer d’informations visuelles le spectateur. On y croise entre autre un joueur d’air guitare, des mouvements invoquant les danses urbaines du voguing, du twerk, du Hip Hop, les réminiscences sportives d’un Haka néo-zélandais, la marque d’Usain Bolt doigts pointés vers le ciel, ou l’image d’un footballer embrassant le sol. Le flux de mouvement s’arrête. Au sol, se relevant progressivement, Marco D’Agostin nous laisse seuls avec le plateau encore alerte, animé par le clignotement de lumières pastel. Du début à la fin de ce flux teinté de douceur, le spectateur pioche, zappe image après image en se laissant transporter par cette danse fluide, battante et acidulée. En sus, Everything is Ok a été présenté à la Moving station, théâtre qui est aussi une gare… en service.”
Guy Duplat su La Libre Belgique, “Bonheuyrs de danse aux Brigittines”. August 24th 2016
“L’Italien Marco D’Agostin entame sa performance par un moment purement parlé. Immobile, il déclame à toute vitesse un texte mélangeant toutes les langues, de manière très drôle. Anvant d’enchaîner comme le ferait un mime tous les mouvement de la vie, tous différents, en suivant dans un flux éreintant une musique minimale aux écarts subtils. Un peu trop long, mais captivant”
[ES]
Carmen Del Val su El Paìs, “Bocanadas de aire fresco”, September 20th 2016
“En la sala del Poble Sec, el joven creador italiano Marco D’Agostin presentó un fecundo solo titulado Everything is OK. Con un físico parecido al actor norteamericano, Ryan Gosling, y enfundado en unas bermudas y en una camisa con estampados tropicales, el bailarín y coreógrafo italiano irrumpió en el escenario gritando un galimatías de frases en diferentes idiomas. Gritó, susurró o simplemente habló. El movimiento de su boca era una provocación constante. En su discurso late la obra filosófica del autor francés, Guy Debord, La Sociedad del Espectáculo. Palabra y movimiento se convierten en una denuncia contra la sociedad actual construida de pantallas digitales.
El artista quiere cansar al espectador con su voz y agotador baile. Sin embargo, el público queda atrapado por el fluido y caudaloso movimiento de este joven. Su intenso y endiablado baile en el que combina la erudita frase coreográfica con el gesto cotidiano, resulta muy interesante y se adentra en nuevas formas de expresión. D’Agostin exhibió una excelente técnica y una nítida y felina ejecución”