year

2020

duration

60′

performed by

Marco D’Agostin

sound, graphics

LSKA

texts

Chiara Bersani, Marco D’Agostin, Azzurra D’Agostino, Wendy Houstoun

lights

Giulia Pastore

scenes

Simone Spanghero, Andrea Sanson

scientific advice

The Nigel Charnock Archive, Roberto Casarotto

dramaturgical advice

Chiara Bersani, Claudio Cirri, Alessandro Sciarroni

technical advice

Eleonora Diana, Luca Poncetta, Paola Villani

movement coach

Marta Ciappina

care, promotion, translations

Damien Modolo

technical care

Paolo Tizianel

photo and video

Alice Brazzit

organization and administration

Eleonora Cavallo, Federica Giuliano

produced by

VAN

coproduced by

KLAP Maison pour la danse à Marseille, Rencontres Chorégraphiques Internationales de Seine Saint-Denis, CCN2 Centre chorégraphique national de Grénoble,  ERT – Emilia Romagna Teatro Fondazione

supported by

Points-Communs – Scène Nationale Cergy-Pontoise, Centrale Fies, Marche Teatro/inTeatro Festival, the WorkRoom (Fattoria Vittadini), Teatro Comunale di Vicenza, L’Arboreto – Mondaino, ARTEFICI.ResidenzeCreativeFvg di ArtistiAssociati

BEST REGARDS

Nomination PREMIO UBU 2021/2022 (Miglior Spettacolo di Danza)

[IT]

“Dear N,
You were too much.
Too funny.
Not just plain funny but, you know:
silly funny, witty funny,
biting funny, cutting funny, ferocious funny,
despondent funny, frightening funny.
And physical too.
Yes too physical by half.
Too body, body.
Too bodily body to be theatre
and too entertaining to be serious.”

 

Così inizia la lettera mai recapitata che Wendy Houstoun scrisse al suo amico e collega Nigel Charnock, pochi giorni prima che lui morisse, nell’agosto del 2012. Nigel era stato uno dei fondatori dei DV8 – Physical Theatre negli anni ’80; aveva poi proseguito in solitaria come performer e coreografo, dando vita a una serie di formidabili assoli. Per chi lo ha conosciuto egli era, esattamente come nelle parole di Wendy, “too much”.

Con i suoi spettacoli, esplosioni ipercinetiche in cui il canto, la danza, il grido, l’improvvisazione, la finzione e la realtà palpabile della performance restavano sospesi su vuoto abissale, ha allargato le maglie del genere “danza contemporanea” ed è sembrato incarnare alla perfezione quella possibilità dell’arte che David Foster Wallace avrebbe chiamato “failed entertainement” (intrattenimento fallito). In lui tutto era energia, desiderio, volontà. Eppure, come disperatamente ripete nel suo solo One Dixon Road, “there’s nothing else, it’s nothing, nothing”: non c’è nient’altro, niente, niente ha senso.

Il mio incontro con lui, avvenuto nel 2010, ha segnato in modo netto il mio modo di pensare la danza. Nigel rappresentava ai miei occhi la possibilità che in scena tutto potesse accadere ed esplodere.

BEST REGARDS è la lettera che scrivo, con 10 anni di ritardo, a qualcuno che non risponderà mai. È un modo per dire: Dear N, I wanted to be too much too (“Caro N, anch’io volevo essere troppo”). Come ha osservato Ottavio Fatica, “le lettere giunte in ritardo mettono sotto accusa il tempo per non essere la durata assidua che si postula, bensì costellazione, via lattea d’istanti”. Ogni lettera, infatti, viaggia da un presente a un altro che potrebbe non trovare ad aspettarla. Da questo presente io rivolgo a tutti gli spettatori lo stesso invito: cantiamo assieme di una nostalgia che ci riguarda, noi che non siamo arrivati in tempo per dire quello che volevamo. All’ombra del tempo scaduto, e sotto la luce che Nigel continua a proiettare sulla scena di chi oggi danza, facciamo risuonare un ritornello martellante, spieghiamo di fronte ai nostri occhi un foglio bianco e chiediamoci: come la cominciamo, questa lettera impossibile?

 

[EN]

“Dear N,
You were too much.
Too funny.
Not just plain funny but, you know:
silly funny, witty funny,
biting funny, cutting funny, ferocious funny,
despondent funny, frightening funny.
And physical too.
Yes too physical by half.
Too body, body.
Too bodily body to be theatre
and too entertaining to be serious.”

 

With these words Wendy Houston would say goodbye to his friend and colleague Nigel Charnock, a few days after he died, in 2012. Nigel had been one of the co-founders of DV8 Physical Theater in the ‘80s; he had then left and followed his own research, creating and performing a formidable series of solos. For whom had met him, he was exactly as Wendy wrote, “too much”.

With his performances, hyperkinetic explosions in which singing, dancing, screaming, fiction and performance were intertwined on top of an abyssal emptiness, he broadened the borders of “contemporary dance” and seemed to perfectly embody the possibility of art that David Foster Wallace defined as “failed entertainement”. Everything in him was energy, desire, will. Yet, as he desperately repeats in his solo One Dixon Road, “there’s nothing else, it’s nothing, nothing”.

I met and worked with Nigel in 2010. This encounter marked a clear line in my way of thinking about performance. After him, the possibility of a dance is for me the horizon within which everything on stage can happen.

BEST REGARDS is the letter I am writing, 10 years late, to someone who can no longer reply. It’s a way of saying: Dear N, I wanted to be too much too. As Ottavio Fatica pointed out when translating the epistolary between Lowell and Bishop, “letters delivered too late impeach time for not being that assiduous duration you would assume it is, instead constellation, milky way of instants”. Each letter leaves from a present towards another one that might not be there to wait for it. From this present moment I make an invitation to the audience: let’s sing all together about a nostalgia that belongs to us all, we who did not arrive in time to say what we wanted. In the shadow of the expired time, and under the light that Nigel keeps projecting on the scene, let’s make this insistent refrain resonate, let’s unroll a blank sheet of paper in front of our eyes and ask ourselves: how do we want to start, this impossible letter?

Press

Altri discorsi di danza: Camilla Monga e Marco D’Agostin, Paolo Ruffini su Limina Teatri, 21 maggio 2022

[…] Best Regards ha una polifonia centripeta di un “solo” amplificatore di immaginari in un quadro nutrito dagli elementi che il performer “deposita” in scena come puzzle da ricomporre, una tavola warburghiana, una fantasmatica coloritura di impressioni. […] Con Best Regards Marco D’Agostin sintetizza in levare una sua configurazione precisa nel côté di una generazione di coreografi-performer “fuori fuoco”, affine al teatro dei Danio Manfredini per un certo mal de vivre del tutto autonomo però (e con una dose incandescente di autorialità originale) nel riappropriarsi di tracce, nell’enumerare riferimenti (anche letterari o musicali) o nello spossessarsi di un corpo, il suo, che diventa tramite oppure trasfigurazione ma sempre, assolutamente, senza mai separarsi dalla propria autobiografia, lì mostrato con pudicizia confidenziale allo spettatore nella misura di una rovesciata ironia. Uno stare in ricerca, una condizione si diceva, nell’omaggiare in questo lavoro la figura di Nigel Charnock, protagonista con gli inglesi DV8 e in percorsi solitari di una danza (e per estensione di un’arte) aperta, a suo modo “scoperchiata” seppure nel rigore coreografico, al quale D’Agostin rivolge una lettera non recapitata prima, e lo fa in questo tempo (in questo «imprevisto del tempo» direbbe lo stesso D’Agostin) che sembrerebbe pervaso da un vuoto di senso, lo fa con un pensiero persino intimo, un atto di riconoscenza a distanza, di cui siamo meta-testimoni in quella frammentazione di innesti teatrali, pezzi danzati e cantati (“luminarie” da avanspettacolo pop), recuperi di una personale memoria, dell’incontro col maestro nel 2010 (scomparso nel 2012) e di reperti propri a una collezione di riferimenti affettivi, altrimenti detti di formazione. In scena tesse una infinita e iperbolica trama, si appropria della densità di un tempo dilatato e subito dopo compresso in cui «le lettere si caricano di destino»; è la sua vita – d’altronde – a fare capolino, a farsi destino scenico, quella del protagonista, in una performance di grande bellezza e così malinconicamente à rebours, così indicibilmente danza.

 

NidPlatform, l’originalità dei corpi, Francesca Pedroni su Il Manifesto, 18 maggio 2022

[…] Assolo folgorante per identità interpretativa e costruzione drammaturgica è Best Regards di e con Marco D’Agostin, dedicato a Nigel Charnock, sorprendente performer fondatore in Inghilterra dei DV8, scomparso dieci anni fa. Con Charnock D’Agostin lavorò nel 2010, un incontro decisivo. A partire da una riflessione che cita Virginia Woolf sullo sfalsamento del tempo insito nella scrittura di una lettera, D’Agostin danza, canta, performa la sua personale lettera a Nigel, intrecciando nello spettacolo alle sue parole anche lo scritto che la collega e amica di Charnock, Wendy Houstoun, mandò a Nigel pochi giorni prima della morte dell’amico. D’Agostin: «Dear N, I wanted to be too much too» (Caro N. anch’io volevo essere troppo) e le parole diventano nello spettacolo graffio affettivo, dinamica energia performativa, una follia che denuda l’anima. Bellissimo.

 

Che seduzione quelle lettere senza risposta, Rodolfo di Gianmarco su La Repubblica, 12 maggio 2022

Scrivere, nella vita o a teatro, a chi non può risponderti. Scrivere parlando, empatizzando, performando, cantando, ricordando, danzando. È così che Marco D’Agostin forgia una trascinante cultura altra della scena, col canovaccio di Best Regards che è un tributo al coreografo Nigel Charnock, frantumatole di discipline e cofondatore dei DV8 scomparso nel 2012. Abbiamo davanti, adesso, un protagonista che alla Calvino seduce con storie d’epistolari del 900 non andati a segno, e intanto riscalda il corpo con gimnopedie titolate su un fondale che è un Word Clock. Modulando la sequenza “sei morto perché io potessi vedere le stelle”. Emozioni di voce e muscoli per i pubblici di Roma e Milano. 

 

La Biennale de Venise offre un panorama éclectique  de la danse contemporaine, Rosita Boisseau sur Le Monde, 30 luglio 2021

Un solo émouvant […]. Une perle dans ce rendez-vous: l’Italien Marco D’Agostin. Repéré au théâtre comme au cinéma, il offre ici un solo émouvant intitulé Best Regards. Dédicace, épitaphe, declaration d’amour à quelq’un qui ne la recevra jamais, cette pièce est un hommage à Nigel Charnock (1960-2012), performer intransigeant et cofondateur de la compagnie anglaise DV8. […] Urgent, frénétique, chanté et dansé, sur fond de paillettes, D’Agostin y rappelle l’essentiel d’une vie en une formule: «Vivre, aimer, danser et mourir.». A la fin, il tend le micro aux spectateurs qui entonnent doucement la chanson générique du spectacle. Un karaoké magique frémit dans les rangs pendant que, dehors, l’orage finit de rincer Venise.

 

Best Regards, un addio impossibile: Marco D’Agostin scrive a Charnock, Carlo Lei su Krapp’s Last Post

Ci sono artisti che hanno con la morte, la morte cappa plumbea, reclamo costante, un dialogo estenuante come una partita a scacchi. Non si può evitare di accorgersi che la morte gli è da presso, li osserva da sotto il palco, nell’ultimo verso di una poesia, appesa con un filo invisibile alla quarta di copertina, al taccuino degli appunti.
Per altri invece l’arte sembra una raffica levata contro di essa, un fuoco appiccato e alimentato per tenerla lontana come con le fiere. Benché spesso nei suoi lavori vi fossero, anche strazianti, “love, redemption, loneliness and nihilism“, come ricorda il suo antico sodale dei DV8 Lloyd Newson, così era il coreografo inglese Nigel Charnock, morto a 52 anni per un tumore allo stomaco. Egli ubriacava la morte a furia di idee lucide, vivide, di schiaffi e di crudi svelamenti della realtà, di carne. “Death -Death -Death. Non-stop. Always banging on about death“: la morte c’è, nel ricordo che Wendy Houstoun fece di Charnock subito dopo la sua dipartita, ma c’è insieme il suo modo di combatterla, un rintuzzarla senza troppa deferenza.

Se per un semplice osservatore è indecente che la morte stessa nel 2012 abbia avuto la bassezza di aggredire e consumare in poche settimane quel corpo luminoso, per un allievo e forse amico come Marco D’Agostin, realizzarlo dev’essere stata un’operazione quasi insostenibile.
Sono dovuti passare otto anni da quell’evento perché finalmente decidesse di vergare “Best Regards”, una lettera per Charnock da questo a quell’altro mondo, presentata alla Biennale 2021.

Ora l’intenso solo, che dimostra tutta l’abilità del coreografo di maneggiare e canalizzare verso il pubblico un’intensa carica sentimentale, arriva a Roma dentro Orbita, la rassegna di danza contemporanea curata da Spellbound Contemporary Ballet. Il lavoro, come denuncia il titolo, ha la forma di una missiva, formato a cui D’Agostin rivendica una credibilità, se ve ne fosse bisogno, attraverso un lungo excursus che da Keats giunge a Virginia Woolf attraverso Bishop, Calamity Jane, Barrett Browning, Cvetaeva, Rilke – e Michele, un suo amico che abita al Pigneto. Quando finalmente termina l’introduzione parlata, il lavoro assume una forma fisica, che è inizialmente quella di una breve serie di movimenti sulla “musica” detta e reiterata dell’ultima lettera postuma di Houston, di cui si anticipava qualche parola sopra: “Dear N, You were too much. – declama D’Agostin – Too funny. Not just plain funny but, you know: silly funny, witty funny, biting funny, cutting funny, ferocious funny, despondent funny, frightening funny And physical too“. La ripetizione delle parole, riprodotte anche sullo sfondo, sopra una tenda ricoperta di lustrini/led (sempre puntuali le luci di Giulia Pastore) sembrano essere sostegno di un flusso di pensieri impossibile da districare, pronti per incarnarsi, sempre in quella forma irrisolta, in un parallelo flusso di movimenti, sequenze che si ritrovano variate, avvolte in sé stesse, nelle quali si riconosce l’alternarsi di attimi di lucidità a sprofondi nella reiterazione, nel pensiero automatico, nelle libere associazioni, simili nei loro nessi a un febbrile monologo interiore (come in “Resurrection”, 1995, di Charnock). Ora una serie di oggetti (i più disparati: un bastone da passeggio in plastica, una banana, pure finta, un pennello, due bottiglie finte di champagne) fa il suo ingresso in scena.
E se questa lieve, allegra paccottiglia non può che richiamare il ricordo di Charnock fatto in apertura (“riusciva a portare sul palco qualunque cosa”), così quell’affastellarsi di gesti è restituzione di un repertorio di ricordi incarnati, più simili a quelli autobiografici dell’Olivier Dubois di “My body of coming forth by day” che a quelli storico-antropologici di Salvo Lombardo.

Oltre il monologo danzato c’è poi il canto (“You died so I could live and dance“), la citazione letterale del tubo pieno di coriandoli esploso sul palco, in un aggirarsi attorno al grande tema della dipartita e dell’ultimo commiato, senza avere il coraggio di pronunciarlo per davvero. E infatti il finale è pure franto, non è uno, sono tre, quattro finali possibili che si accavallano. Ciascuno è un gradino aggiunto su una passerella che non si vuole troncare, un saluto definitivo che non si ha cuore di dare: ora la lettera piena di luce spedita da Chiara Bersani, letta in scena a mimare quelle che il coreografo inglese spediva a sé stesso e leggeva durante le performance; ora il lento scendere a buio mentre il lirismo di una canzone si sgretola nuovamente e rimane solo il corpo del danzatore a parlare; poi lagrime sembrano consumare le scritte sulla tenda di led, lentamente curvata al buio. Ma non è finita ancora, c’è ancora un ultimo sospiro: “Best Regards”, che si dispiega sul palco come una lettera sì, ma anche come una preghiera le cui sequenze sono sparpagliate e sminuzzate, così piene di cose, si chiude col canto del pubblico.
Marco D’Agostin rivolge il microfono alla platea ed esce. Sul fondo passano le parole della canzone già cantata, che nel frattempo abbiamo imparato, e mentre un accompagnamento di piano ci seduce, diveniamo un coro che salda noi, il corpo del danzatore nel buio del retropalco, Nigel Charnock in un altro e più imponente buio, con il senso del teatro, anche del teatro a cui capita di morire, cioè il contatto.

 

Biennale Danza, le stelle oltre il buio con Marco D’Agostin – “Best Regards” tra Beckett, il mainstream e l’amore, Leonardo Merlini su AskaNews, 29 luglio 2021

Uno spettacolo emozionante, esposto, capace di unire cultura alta e bassa, danza e narrazione, in un’atmosfera di sospensione e ritualità che lo fa somigliare a una festa disperata e sincera. Marco D’Agostin ha portato in Biennale Danza il suo “Best Regards” che tra le altre cose vuole essere un omaggio al coreografo britannico Nigel Charnhock, scomparso nel 2012 e capace di dare un nuovo senso alla parola “intrattenimento”. “Quella energia strabordante che intratteneva lo spettatore, lo intratteneva, lo faceva ridere – ha detto D’Agostin ad askanews – era profondamente piena di dolore. Io non ho quella stessa energia, e, ad ogni modo, è come se ogni tentativo all’interno di Best Regards di intrattenere il pubblico con qualcosa di divertente fallisse, ma comunque mi piace l’idea di semantizzare la parola ‘intrattenimento’ dal punto di vista del tempo. Io mi occupo del tempo dello spettatore, di intrattenere lo spettatore all’interno di quel tempo e lo faccio con strategie diverse”.“Best Regards” è sia un racconto sia una struttura performativa che si muove tra Beckett e il mainstream, che a volte ricorda David Foster Wallace, che parla delle lettere che si scrivono, della difficoltà di stare sul palco e con se stessi. E la danza sembra essere una forma di protezione, ma anche di debito. Nel tentativo di stabilire quella che D’Agostin chiama una compromissione tra l’artista e il pubblico. “A me – ha aggiunto il performer – interessa quando vedo un corpo muoversi o faccio muovere il mio corpo, che in qualche modo ci sia la cessione da parte della propria biografia e della propria postura sentimentale nei confronti del mondo e delle cose del mondo, ci sia la cessione di qualcosa, cioè che il gesto sia riempito di qualcosa con un livello di sé che non è necessariamente anatomico, ma che ha a che fare con i sentimenti, direi in ultima istanza, perché il sentimento possa muovere il corpo e per farlo occorre necessariamente cedere qualcosa”. La cessione, appunto, la perdita, ma anche degli strumenti per colmare queste distanze, andando oltre la malinconia assoluta del mainstream. Così, quando in sala pensiamo di essere già arrivati al climax emotivo dello spettacolo, arriva una lettera di Chiara Bersani, l’artista e ballerina che, anche senza la presenza fisica, ancora una volta è qui, in questo mondo unico che chiamiamo Biennale Danza. “Gentili persone, vi prego – scrive Chiara – entrate alla Tese solo se siete strabordanti d’amore. Altrimenti, per piacere, rimanete fuori”. A questo punto si capisce davvero che tutto lo spettacolo è un atto d’amore: per Charnhock, per gli spettatori, per un certo tipo di performance, per il palco… amore disperato per noi e per ogni cosa che si vorrebbe vedere illuminata. “Non abbiamo mai quel confortevole buio – scrive ancora la Bersani – che ci permette di guardare le stelle, di tornare a orientarci e respirare all’unisono, a coltivare nostalgia per le persone sparite. Ecco come ci siano perduti”. Siamo caduti anche noi nel buio, forse sì, forse era inevitabile, ma, adesso ci accorgiamo, è solo al buio, che possiamo alzare gli occhi e guardare le stelle. E, dietro le mascherine, alla fine, anche la sala si mette a cantare. “You are the Dark, I see the Stars”. Sì, è vero, adesso le vediamo.

 

Danzare la fragilità: su Best Regards” di Marco DAgostin e Bye Bye” di A.M. Romano, Laura Bevione su paneacquaculture.net, 20 ottobre 2020

In questi giorni in cui la riapertura dei teatri è quotidianamente rimessa in discussione, due spettacoli visti al Festival Torinodanza confermano, con la loro schietta necessità, quanto invece lo spettacolo dal vivo sia, oggi più che mai, occasione di riunione e rispecchiamento di una comunità che l’isolamento – spirituale ed egotico più che fisico – sta inesorabilmente sgretolando.

La vostra cronista teatrale ha assistito all’anteprima di Best Regards, la nuova creazione di e con Marco D’Agostin, e a Bye Bye, spettacolo del Leone d’argento Alessio Maria Romano: lavori differenti per impalcatura ed esito e, nondimeno, accomunati tanto formalmente per la ricerca di un linguaggio che trascenda gli ormai vetusti steccati che separerebbero danza e teatro, quanto dall’analoga verità dell’ispirazione, che rifugge ogni velleitarismo ovvero concettualismo a favore di un sincero desiderio di condividere esperienze ed emozioni anche intime.

L’assolo di D’Agostin è una sorta di dedica, danzata e recitata, al performer e coreografo Nigel Charnok, scomparso nel 2012 e fondatore, negli anni Ottanta del secolo scorso, del DV8-Physical Theatre. Nel 2010 il danzatore italiano raggiunse Charnok a Londra e lavorò con lui per un certo periodo: un’esperienza fondamentale per tratteggiare con contorni più definiti la propria particolare vocazione, comprendendo meglio come il movimento non potesse che essere complicato e riempito da una drammaturgia complessa e composita.

D’Agostin entra in scena – un corridoio bianco delimitato sul fondo da una parete luccicante – e racconta di Nigel Charnok, della sua abitudine di inviarsi una lettera nei teatri in cui si sarebbe esibito e del particolare modo di concepire la danza e il mondo, del suo essere – con le parole dell’amica e collega Wendy Houston – too much, troppo. Ma il performer racconta anche di Natalia Ginzburg e di Cesare Pavese, della Cvetaeva e di Rilke, dello scrivere e del leggere, dei rapporti interpersonali e della possibilità di danzare, ancora oggi.

D’Agostin accenna passi di danza fluidi e fintamente causali, mima pose da rockstar, canta e porta sul proscenio oggetti vari in un policromo e disperatamente allegro crescendo che scema lentamente fino alla lettura della lettera che il performer ha chiesto all’amica e co-autrice Chiara Bersani di inviargli e che apre davanti agli spettatori, condividendo attesa e commozione. E, nel finale, i versi di una canzona scritta per Charnok, con l’invito implicito al pubblico di cantare –  nella distanza richiesta dalle misure anti-covid, un sussurro struggente…

Best regards  (il titolo allude alla formula convenzionalmente utilizzata per concludere le lettere) è certo una missiva indirizzata a Nigel, scritta con il movimento e la voce, il pensiero e l’emozione; ma è pure un vivido memento per se stesso e per il pubblico: ricordarsi perché si è scelto di stare in scena e farlo in quel modo e perché, malgrado l’ansia e la paura, ancora si sceglie di incontrare gli altri in una sala teatrale.

Uno spettacolo intelligente e malinconico, acuto e appassionato.

 

Marco DAgostin, caro amico ti ballo, Sergio Trombetta su La Stampa Online, 08 Ottobre 2020

“Best Regards” presentato a Torinodanza in anteprima alle Fonderie Limone, lettera spettacolo in ricordo del maestro Nigel Charnock

Marco D’Agostin fa la majorette, cammina su un mini red carpet, canta “Cheek to cheek“, imita Liza Minnelli in “New York,New York”. Dalla tenda glitterata dello sfondo porta in proscenio ogni sorta di oggetti, si muove disarticolato per la scena, un semplice quadro bianco al suolo oltre alla tenda. Sulla cortina che fa anche da schermo compare la scritta “Dear N.” è l’incipit di una lettera che la danzatrice e amica scriveva a Nigel Charnock dopo la sua morte e che dunque il destinatario non ha mai ricevuto.

Nigel Charnock , visto anni fa a Torino per Interplay, è stato una figura singolare ed esplosiva della scena di danza inglese nei primi anni 2000. Ha fondato con Lloyd Newson il gruppo DV8, per proseguire una carriera come solista. È morto prematuramente nel 2012. Ma ha lasciato dietro di sé una eredità di allievi . Per esempio Daniele Albanese. Per esempio Marco D’Agostin uno dei nostri migliori performer, anche lui spesso alla prova con la forma dell’assolo dove dispiega il suo talento danzando cantando e recitando. Ed è un mix di queste capacità il brano  “Best Regards” presentato a Torinodanza in anteprima   alle Fonderie Limone, dopo un percorso accidentato dal Lock Down. La sua è una lettera spettacolo in ricordo del maestro, l’assolo un concentrato di tutte le azioni che la figura di Charnock può ispirare. “Best regards” è la formula con cui si chiudono le lettere in inglese. Una epistola per  Charnock.. E la danza che riflette sul proprio passato, sui propri maestri è anche uno spunto interessante di questi ultimi anni.

Si comincia con una disquisizione sull’arte dello scrivere lettere citando grandi scrittori, epistolari famosi come quello fra Marina Cvetaeva e Rilke. È un principio calmo, parlato, in mezzo alla scena forse un po’ troppo vasta per una simile performance e con una sala falcidiata dalle misure anticovid.

Spiega D’Agostin: “Il mio incontro con Nigel avvenuto nel 2010, ha segnato in modo netto il mio modo di pensare la danza. Nigel rappresentava ai miei occhi la possibilità che in scena tutto potesse accadere ed esplodere”.

Ed ecco che poco per volta lo spettacolo si scatena. Agostin è un inarrestabile fuoco d’artificio di bravura, come già aveva dimostrato di fare nell’assolo “Everything is ok”. Fra le lettere legge quella inviata da Chiara Bersani, altra performer della scuderia di Bassano del Grappa e coautrice della pièce. Lentamente lo spettacolo si avvia alla fine con una canzone scritta per Charnock: “sei morto perché io potessi vincere e danzare”. “Best regards” visto al debutto ha già tutte le qualità per essere un successo. 

 

“Best Regards”, la danza di D’Agostin ci invita a veder le stelle, Walter Porcedda su Gli Stati Generali, 25 settembre 2023

Lettera indirizzata a qualcuno che non leggerà. Nell’epoca del Chat Gpt e dell’intelligenza artificiale, della decadenza delle mail, diventate surrogato di una epistola ridotta sempre più a comunicazioni di servizio, scarne ed essenziali, sincretismo di immagini, graffiti video e parole nelle reti di Instagram e Tic Toc, il coreografo Marco D’Agostin, in “Best Regards” _ sere fa sul palco del festival “Autunno danza” alla ex Manifattura di Cagliari _ sfida il presente guardando indietro. Riavvolge il nastro per fermare attimi di vita e scrivere una lettera con quello che la sua arte gli offre come mezzo. Una lettera danzante inviata su nel cielo, o chissà dove, al geniale Nigel Charnock, il danzatore fondatore dei fondamentali DV8 Physical Theatre scomparso oltre dieci anni fa. Una lettera scritta in ritardo “a chi ha rappresentato ai miei occhi _ ha detto il giovane coreografo _ la possibilità che in scena tutto potesse accadere ed esplodere”. Non può quindi essere una semplice  missiva scritta su un foglio bianco, chiusa in una busta, affrancata e spedita. Anche perchè prima e dopo può accadere di tutto: ad esempio che il destinatario scompaia o la missiva vada perduta nel meandro delle poste che talvolta inghiotte come un moloch e non restituisce.

E di quello scritto dunque, cosa potrebbe restare? Chi potrà leggere quelle righe si domanda D’Agostin? E se nel frattempo scrivente o ricevente cambieranno come si potrà interpretare ciò che resta scritto? E’ un meccanismo della memoria perverso, che non ha riconoscimenti o rispecchiamenti ma vive solo la mutevole legge dell’oblio e della condizione umana. Meglio la danza quindi, diventata testimone e messaggera, che indulge e fruga negli interstizi lasciati liberi da ricordi di presenze/assenze liberate nello spazio e nel tempo.

Memoria come strumento performativo. E danza come indagine tra l’attimo della scrittura e quello (possibile o meno) del ricevimento. Di Charnock, il coreografo e danzatore D’Agostin disegna un ritratto appassionato e poetico, dipingendo con pennellate decise quella spinta compulsiva che contraddistingueva il performer britannico: un flusso di energia spettacolare che il coreografo italiano traduce in urgenza performativa e forte libertà espressiva.

Originario di Manchester, Nigel Charnock, dopo aver studiato al Royal Welsh College of Music and Drama di Cardiff, si è poi formato alla London School of Contemporary Dance (1981) prima di lavorare con la Ludus Dance company (1982-85) e l’Extemporary Dance Theatre (1985-86). Nel 1986 con lo spettacolo “My Sex:Our Dance” fonda con Lloyd Newson il DV8 Physical Theatre con il quale lavorerà per sette anni circa. Dopo aver lasciato i DV8 nel 1993, crea diversi assoli: “Human Being”, “Hell Bent”, “Original Sin”, “Resurrection” e “Frank”, incentrati su amore, rinascita, solitudine e nichilismo temi che ricorreranno nel lavoro di tutta la sua vita. Nel 1995 costituisce la Nigel Charnock Company, realizzando anche opere per altre compagnie in Gran Bretagna e all’estero. Nelle ultime fasi della sua attività creativa collaborò con musicisti jazz quale il brillante pianista e compositore Gwilym Simcock. Prendeva ispirazione dal mondo della musica jazz e non è un caso che alcuni dei suoi ultimi spettacoli fossero legati all’improvvisazione. Charnock non si poneva limiti alla libertà espressiva. E spesso colpiva nel segno creando scandalo o sconcerto. Lloyd Newson cofondatore dei DV8 ricorda infatti che: “Quando ha colpito nel segno, e di solito è stato con i suoi assoli, ha provocato e svegliato il pubblico: non c’era nulla che non dicesse o facesse. Con arguzia incisiva, parlava ad alta voce dei propri pensieri privati e dei nostri”.

Personaggio artisticamente ingombrante con una personalità che brillava di luce propria nel mondo della sperimentazione teatrale. Certo non facile “scrivergli” una lettera. Che poi non leggerà. Eppure D’Agostin lo fa in un modo felicemente disordinato, ma assolutamente esplosivo, diremo per usare una espressione cara allo stesso coreografo “too much”, eccessivo persino, ma mai lezioso o ridondante. C’è tanto e non solo di Charnock di cui si ricorda anche l’abitudine di spedirsi delle lettere ai teatri dove debuttava. Il focus si allarga e segnala le epistole di Virginia Woolf, Elisabeth Bishop, poetessa americana straordinaria, purtroppo poco conosciuta in Italia e di una donna che visse tra dramma e mito come la pistolera Calamity Jane che affidò ad un amico le sue lettere indirizzate alla figlia con la richiesta di consegnarle solo dopo la sua partenza dal mondo . Lettere che il tempo ha trasformato in simulacri d’amore o disperazione.

Parole che seminano ricordi. Relitti di esistenze, affioranti qua e là tra passato e futuro. D’Agostin solitario in scena costruisce velocemente un set per feste glamour tra coriandoli e giocattoli quasi fosse nella stanza di un adolescente. Costruisce e distrugge con pari velocità, come accade nell’ispirazione dello scrittore: danza della mente, danza che governa e domina, seguendo un suo ritmo in un battito di tempo che non finisce mai… (da Virginia Woolf). Indossa gli abiti di un entertainer di uno show improvvisato gaio e un po’ sbilenco dove prova a far echeggiare le star di Elvis Presley in “Love me tender” in una girandola di motivi evergreen, da “Cheek to Cheek” di Irving Berlin scritta per Fred Astaire e Ginger Rogers, la popolare “Cry Me a River” di Hamilton e la cult song “New York New York” di John Kander e Fred Ebb portata al successo da Liza Minelli, e soprattutto Frank Sinatra.

D’Agostin è l’instancabile vedette sul palcoscenico: è attore, danzatore, performer unico di un tableau che ha dipinto lui stesso velocemente in crescendo. Ha accumulato oggetti e li ha tolti fuori dalla scena, è entrato e uscito da un sipario illuminato più e più volte. Destruttura il movimento danzato restituendo attimi di poesia in motion. Ed è una lettera, spedita da un’isola norvegese dalla coreografa Chiara Bersani, che Marco D’Agostin legge ad alta voce, quasi un diario di bordo di un viaggio che intreccia memoria e poesia. Le parole di Bersani fotografano il tempo dell’adesso e del dopo, intrecciando pubblico e privato, la città raggiunta e conosciuta sedimentando ulteriori emozioni di un atto unico e sorprendente. Un atto d’amore che deflagra in musica mentre i versi scorrono sulla tenda e D’Agostin canta con voce ispirata la canzone dedicata a Nigel. Il brano entra in loop e lentamente, mentre i versi continuano a scorrere gli spettatori se ne impadroniscono cantandola a mezza voce fino a vedere le stelle … “You Died, So I Could Live and Dance, You are the Dark, I see the Stars…”

Tour

2024

February 13th, Teatro Bonci, Cesena (IT)

March 5th, Manchester (UK)

March 6th – 7th, Angelo Mai, Roma (IT)

March 13th, Teatro Sperimentale, Pesaro (IT)

March 16th, Teatro Excelsior, Reggello (IT)

May 9th, Ridotto del Teatro Verdi, Festival Prospettiva Danza, Padova (IT)

June 9t, Cadiz en Danza, Cadiz (ES)

2023

February 2nd/5th, Teatro Nuovo, Napoli (IT)

February 10th, Teatro Giovo Vita, Piacenza (IT)

February 24th, Athens (GR)

March 2nd, Teatro Santa Chiara, Trento (IT)

March 3rd, Teatro Santa Marta, Venezia (IT)

March 12th, Teatro Ponchielli, Cremona (IT)

April 13th, Théâtre Joliette, Marseille (FR)

April 25th, Kismet, Bari (IT)

May 20th/21th, Tanzhaus, Zurich (CH)

May 24th, One Dance Week Festival, Plovdiv (BG)

May 26th/27th, Dublin Dance Festival, Dublin (IE)

May 31st, Danza Estate, Bergamo (IT)

July 13th, Teatro di Gualtieri, Gualtieri (IT)

September 15th, Festival Venere in Teatro, Forte Marghera (IT)

September 20th, Autunno Danza, Cagliari (IT)

October 3rd, Insolito Festival, Parma (IT)

November 14th, Concepción, Chile

November 22nd – 23rd, Santiago del Chile, Chile

2022

January 21, CCN de Nantes, Nantes (FR)

February 18, Teatro Camploy, Verona (IT)

March 22 – 23,  Pole-sud – CDCN de Strasbourg, Strasbourg (FR)

April 6, Belgrade Dance Festival, Belgrade (YU)

April 14, Cango, La democrazia del Corpo, Firenze (IT)

April 22, Teatro Ridotto del Comunale di Vicenza, Vicenza (IT)

April 28, Teatro Palladium, Roma (IT)

May 8 – 9, Piccolo Teatro di Milano, Milano (IT)

May 14, Nid Platform, Salerno (IT)

May 28, Pieve di Cento (IT)

June 6 – 7, Dance Week Festival, Zagreb (HR)

September 1, Tanzmesse, Düsseldorf (DE)

December 6th, Teatro Herberia, Rubiera (IT)

December 9th, Festival Danse Dense, Paris (IT)

2021

July 14-15, Julidans, Amsterdam (NL)

July 27, Italian première, La Biennale, Venezia (IT)

July 29, Bolzano Danza, Bolzano (IT)

August 4, Festival Terreni Creativi, Albenga (IT)

September 22 – 24, Arena del Sole, Bologna (IT)

October 24, Festival Aperto, Reggio Emilia (IT)

2020

August 7th – 8th, studio version, Centrale Fies, Dro (IT)

August 28th, studio version, B.Motion, Operaestate Festival, Bassano del Grappa (IT)

October 7th/8th, avant-première, Torinodanza Festival, Torino (IT)

photos by Alice Brazzit